Celeste Baraldi - vetrofusioni, ceramiche e street art

Dall’età della pietra all’età dell’imballaggio

La storia dell’uomo è la storia dei materiali usati per costruire, modificare e comunicare il proprio mondo e con “età della pietra, del bronzo o del ferro” indichiamo non solo momenti dello sviluppo tecnologico, ma pure visioni di società e relazioni con l’ambiente.
L’arte sta all’interno di questo processo e lo rispecchia dove i materiali topici delle diverse epoche ne costituiscono il tramite, il medium, foggiano il corpo dell’opera divenendone così parte integrante del messaggio e del valore economico, condizionandone l’estetica e l’efficacia espressiva.
Soprattutto in piena “età dell’imballaggio”, della plastica e degli innumerevoli materiali nuovi che tessono la buccia del nostro tempo come proteiforme e sfavillante interfaccia fra un presente saturo di merci, del loro peso, ingombro ed inquinamento spazio-temporale e un bulimico futuro di oggetti incorporei, di derrate elettroniche, di beni, attività e consumi virtuali.

Contenuti e contenitori

Come la pelle, la buccia o la scorza sono contenitori naturali che proteggendola e sviluppandosi assieme ad essa connettono una vita interna all’ambiente esterno, così ogni civiltà nell’autodefinirsi e descriversi crea e sviluppa i propri contenitori concettuali, le proprie ideologie e foggia, con vecchi e nuovi materiali, una sua tipologia di recipienti per dare forma, conservare, trasportare, commercializzare e consumare le proprie merci.
L’insieme di questi involucri artificiali formano l’epidermide della quotidianità, ne sono l’aspetto più visibile e manipolabile, ciò che riempirà le discariche del tempo.

Ogni tempo ha l'arte che merita

L’opera d’arte è un linguaggio non verbale dove il contenuto e il contenitore sono e non sono la stessa cosa e modificando l’uno si cambia anche l’altro. E’ un oggetto che fa coincidere il suo dentro con il suo fuori e viceversa, estraneo al principio di non contraddizione; un manufatto di segni che non patiscono la dicotomica scissione fra significante e significato, materia e pensiero.
Ogni tempo ha la sua arte e che merita, al modo di come l’uomo da sempre è un contenuto che si fa contenitore di se stesso.
L’una e l’altro riempiono discariche ugualmente sacre, musei e necropoli.

Fatto e artefatto

Le mie opere sono cose di pittura e scultura che ricavo dal nulla adoperando pezzetti di mondo, in modo che il mondo entri in loro ed interroghi il niente da cui vengono.
Ma da questo non se ne traggono concetti che sono la messa in forma del pensiero, contenitori che ne disciplinano il flusso altrimenti magmatico, tanto che paradossalmente la stessa idea di caos il linguaggio verbale me la deve far capire utilizzando strumenti d’ordine quali il lessico e la grammatica, quando l’opera d’arte si risolve per intero in se stessa, nell’oggetto che è, il caos me lo mette sotto gli occhi, lo posso toccare.
L’artefatto e il fatto coincidono, l’arte è il constatarlo.

Contenitori di contenitori

I miei lavori sono contenitori di contenitori che si osservano per quello che sono e per come si dispongono all'interno dell'opera, più i segni e le deformazioni che insistono sui loro corpi.
Assemblage di vuoti a perdere e ritrovati proprio a motivo di quel vuoto che diventa un punto di precario equilibrio, un luogo di attrazioni magnetiche, il supporto di percorsi condotti in punta di pennarello, la testimonianza di una perdita .......
Se ne ricava un ordine caotico che penso mimetico dello stato delle cose, nella loro dimensione ontologica e per come le percepiamo e viviamo nella nostra esperienza quotidiana.
Sono manufatti costruiti su ossimori tattili e visivi attorno ad un'aporia logica fra ciò che generalmente si attribuisce al concetto di opera d'arte e quanto richiama la semantica dei materiali usa-e-getta con i quali realizzo le opere stesse.

Arte in vuoti a perdere

Mentre l'oggetto artistico, aperto com'è al gioco delle interpretazioni mobilita tutto il nostro sapere, la nostra attenzione e le facoltà immaginative di cui disponiamo nel mostrarsi come una cosa che a sua volta ci interroga, il prodotto usa-e-getta che ritroviamo nelle mie opere rinvia ad un mondo di merci e ad un modo di consumarle del tutto monodimensionale.
Tubetti, scatolette, vassoietti, lattine, flaconcini, sacchettini, bustine, bottigliette e ogni altro tipo di contenitori e di involucri di carta, plastica, vetro, metallo o di altra ibrida natura, non sono che protesi funzionali ai nostri acquisti e consumi quotidiani, i più massificativi, spicci e di routine; merci come segni della modernità indispensabili alla nostra sopravvivenza che cogliamo sullo scaffale del supermercato e utilizziamo con gesto irriflessivo.
Allora il manufatto d'arte, come gratuito esercizio intellettuale fattosi reperto espressivo, la materializzazione di un punto di vista critico ed insieme emotivo sul proprio tempo, è quel bene duraturo che vede il proprio alter ego di mercato nel ciclo breve delle confezioni monouso, fatto di presenze effimere, cangianti quanto pervasive ed inquinanti dello spazio fisico e semiotico in cui ci muoviamo come vuoti a perdere.

Rumore di fondo

Le bottiglie di plastica le vediamo sul tavolo del conferenziere, fra le mani del migrante, nel carrello della spesa, come rifiuto ai margini delle strade; riempiono il frigorifero di casa e il bidone della raccolta differenziata.
Piene, mostrano la loro turgida e androizzata forma sugli scaffali e nei distributori automatici dei supermercati, autogrill e metropolitane del mondo intero; vuote, flosce o accartocciate, sono piccole carcasse nell'erba dei giardinetti pubblici o costellanti l'asfalto della città.
Prosperano con lattine ed altri rifiuti negli angoli urbani degradati, nelle aree dismesse, condividendone la natura derelitta di corpi sopravvissuti alla loro funzione, ma pure la sorte di un possibile recupero e riuso.
Appartengono al rumore di fondo del campo visivo, un continuum di gadget, vuoti-a-perdere, usa-e-getta che ci accompagnano come imprescindibili, per quanto futili, oggetti di scena lungo l'intero piano sequenza della nostra giornata.
E il rumore di fondo è ciò che non trascende dove la merce si trasfigura e si fa estetica, costume, status symbol, prodotto pubblicitario e il concreto e il virtuale si fondono in valore di mercato, così che l'oggetto resta nella denudata immanenza di cosa relegata ad essere soltanto quella che è per forma, colore e materiale.

Spazio dell'abbandono

Le mie sculture ricavate da bottiglie di plastica ed altri vuoti a perdere danno corpo ad un geometrico spazio dell’abbandono, evocano le aree dismesse, i non luoghi del nostro periferico paesaggio urbano e con essi, simili alle tante discariche abusive disseminate in questi territori negletti, richiamano sedimenti di vacue memorie, metafisiche considerazioni sulla precarietà e finitezza delle cose umane.

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